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Lettera Aperta

Da: gianluca aprile
Date: 05 Aug 2001
Time: 12:47:15
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La fine del lavoro?

Il testo qui di seguito non vuole essere l’analisi dei moderni rapporti di lavoro né un manifesto politico sindacale necessario per chiamare le masse alla rivoluzione. Ho deciso di scrivere una lettera aperta (con alcune analisi ad alta voce), allo scopo di provocare riflessioni, un po’ come gettare un sasso in uno stagno, fin troppo fermo, allo scopo di smuovere le acque, per uscire da un isolamento quotidiano che a me personalmente comincia a stare stretto. Troppo spesso l’alibi della disoccupazione ci costringe ad accettare rapporti lavorativi precari, anomali, temporanei o addirittura in nero. Insegnare italiano agli stranieri diventa quasi una missione, un hobby, qualcosa di piacevole, una professione giovanile senza un futuro, raramente un lavoro “vero”. Tutto questo perché non c’è più lavoro, perché i tempi sono cambiati, perché è necessario essere moderni ed adeguarsi ai nuovi tempi e ritmi; tuttavia sono convinto che la fine del lavoro è soltanto un abbaglio, la disoccupazione un’illusione ottica. Questa situazione è chiaramente illustrata in molte ricerche e studi specializzati come nel recente libro Il lavoro che emerge di Pierpaolo Donati (Bolinghieri) da cui risulta che in generale il lavoro sta cambiando forma e natura e paradossalmente l’occupazione cresce e si espande all’infinito. Quello che manca a tutti noi è la capacità di vederlo. Sia perché ha assunto forme più “spirituali”(o come si dice oggi più “virtuali”) sia perché tutti ci portiamo in testa l’idea del lavoro come si è costruito dalla rivoluzione industriale in poi. Il lavoro oggi è essenzialmente relazione. Creazione e cura di rapporti sociali. Bene impalpabile, ma bene sempre più richiesto e necessario. Avanza l’epoca dell’informazione e dei servizi: con Internet o nell’ecologia, nella gestione del territorio, nelle cooperative sociali, nelle scuole, nei servizi in generale non occorre un lavoro materiale, non si producono merci, quel che si produce sono relazioni. Quello che è finito o sta finendo è “la civiltà del lavoro industriale”, non del lavoro tout court. Di quattro nuovi posti di lavoro che si creano in Italia, tre sono “atipici”. Secondo i dati del ministero del lavoro, i lavori atipici rappresentano già il 70 per cento del totale, il che vuol dire che tipici sono questi lavori. Chi lavora oggi deve subire l’ossessione di un continuo e frenetico aggiornamento (vedi Ditals, Master telematici di Venezia, corsi di perfezionamento e aggiornamento, scuole di specializzazione, case editrici, etc.) e viene sempre più spesso ingaggiato non per un lavoro, ma per un progetto, finito il quale, tutti a casa. Anche gli insegnanti, come a noi piace definirci, non sfuggono alla logica dei call center, e dei Mc Donalds. Siamo rigorosi, informatissimi, preparatissimi, aggiornatissimi nella glottodidattica, ma davanti a noi abbiamo soltanto la dura legge del: “o così o quella è la porta”. Anche noi siamo come molti altri lavoratori che vivono e lavorano intorno a noi, uomini e donne usa-e-getta secondo i bisogni e da “rottamare” appena sopra i 45-50 anni. Questa logica come una sorta di religione del darwinismo aziendale è entrata nella quotidianità come la normalità della vita. Invito quindi tutti a riflettere, a trovare le forme e i modi per fermare questa pazzia nella quale sono gli uomini a doversi adeguare al mercato e non viceversa. Scrivetemi, parliamone, usciamo dall’invisibilità. Gianluca Aprile gianlucaaprile@tiscalinet.it

Da:
Date: 29 Oct 2003
Time: 03:59:12
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Commenti

Ciao, sono un laureato in lingue e letterature straniere a venezia con tesi sul nicaragua. Sarei interessato a qualsiasi proposta per lavorare con i paesi e/o istituzioni centro e sudamerican: ong, istituti di cultura, scuole di italiano, strutture di cooperazione. Se volete mandarmi notizie e/o informazioni la mia mail è

giampaologreco@yahoo.it

Grazie mille

Aggiornato il: 29 October 2003